lunedì 20 ottobre 2025

Creare per l'eternità

 

Quando l'arte guarda oltre il successo


Viviamo in un tempo che misura quasi tutto in termini di risultati immediati: visualizzazioni, like, riconoscimenti.

Ci muoviamo come se ogni gesto dovesse produrre un effetto tangibile e veloce, dimenticando che la vera grandezza nasce spesso nel silenzio e nella pazienza.

Ci sono persone che creano opere meravigliose pur sapendo che non le vedranno mai compiute.
Persone che non creano per farsi vedere, ma per rispondere a una chiamata interiore, per servire qualcosa di più grande di sé: Dio, la bellezza, l'amore o semplicemente la vita stessa.


Costruire con lo sguardo rivolto al cielo


Antoni Gaudì dedica tutto sé stesso alla Sagrada Familia, come chi costruisce un dialogo con il divino.
Sa che non vedrà mai finita la sua basilica, ma non lo considera un limite: per lui, il tempo umano è solo una parte del disegno.

Dice: "Il mio cliente non ha fretta", e in quella frase c'è tutto il senso del suo lavoro.
Per Gaudì, costruire è un atto di fede: ogni dettaglio ha un senso spirituale, come parte di un mondo che supera l'ego. 

È il segno che ciò che nasce da un'intenzione pura non muore mai.

Nel 1926 muore in solitudine, travolto da un tram e scambiato per un mendicante, come se anche nel suo ultimo istante la sua umiltà avesse nascosto la sua grandezza.


La Sagrada Família di Antoni Gaudí, simbolo di arte che guarda all’eternità


La voce silenziosa dell'anima


Quando Emily Brontë scrive Cime tempestose, vive in un piccolo villaggio, lontano da tutto.

Non cerca la fama letteraria, non immagina neppure che la sua storia verrà letta da milioni di persone.
È un'opera intima, tormentata, scritta per necessità interiore, come se le parole fossero un modo per dare forma all'invisibile.

Chi crea con passione non lo fa per se stesso, ma per l'eternità.



Copertina del romanzo Cime tempestose di Emily Brontë, simbolo di passione e solitudine senza tempo


Il sacrificio della bellezza


Vincent Van Gogh dipinge con fame, dolore e fede.

Spesso non ha soldi per mangiare, ma trova sempre il modo di comprare colori.
Scrive al fratello Theo che dipingere, per lui, è "un modo per sentire Dio".

Vende solo un quadro quando è ancora in vita, ma continua a dipingere con urgenza e devozione: la pittura è il suo modo di respirare. 

Oggi  i suoi quadri valgono milioni, ma il loro vero valore non è economico: è spirituale.
Ci ricordano che la bellezza può nascere anche dalla sofferenza e dall'incomprensione.



La Notte stellata di Vincent van Gogh, un inno alla fede e alla luce che nasce dal dolore



Creare come atto d'amore


Creare qualcosa senza aspettarsi nulla in cambio è un atto di fede, un modo per donare sé stessi.

Come nel film Collateral Beauty, il protagonista, distrutto dalla perdita della figlia, si trova davanti a tre presenze simboliche: l'Amore, il Tempo e la Morte.

Ognuna di loro lo costringe a guardare la vita da una prospettiva più profonda.
Alla fine capisce che anche nel dolore esiste una forma di bellezza nascosta, una "bellezza collaterale", che nasce quando smettiamo di controllare tutto e lasciamo che la vita ci attraversi, permettendoci di dialogare con il mistero.





Così è anche per la creazione autentica: quando un artista lavora senza cercare l'approvazione, quando costruisce qualcosa solo per amore, senza aspettarsi nulla in cambio, in quel gesto si nasconde una forma di grazia.
E quella grazia, prima o poi, ritorna.
Magari non come successo o denaro, ma come pace, ispirazione o consapevolezza di aver contribuito, anche solo un po', alla bellezza del mondo.

Abbiamo bisogno di tornare a questa idea: creare non per riempire un mercato, ma per riempire il mondo di senso.
Costruire come Gaudì, scrivere come Emily Brontë, dipingere come Van Gogh, per donare qualcosa che resti.

E anche se non ne vediamo il frutto, quella traccia si trasforma, viaggia e, un giorno, tocca qualcun altro.




Just be sure to notice collateral beauty.







martedì 7 ottobre 2025

Il potere trasformativo della lettura

Come la lettura mi ha cambiata per sempre


Nel tempo, i libri sono diventati i miei compagni di viaggio più fidati. A molti ricordi e periodi della vita ho associato un libro. Ogni storia letta ha lasciato un segno, ha parlato a una parte di me, accompagnandomi nella crescita e nei cambiamenti.

Le prime letture: "Cuore" e la scoperta dell'emozione


Alle scuole elementari ricordo il mio primo vero incontro con la lettura: Cuore di Edmondo De Amicis, un regalo di mamma.
Mi incuriosivano le vicende di Enrico, le lettere dei suoi genitori, la bontà di Garrone, la cattiveria di Franti, e il coraggio del piccolo tamburino sardo.
Era un mondo di valori semplici ma profondi, eppure la mia relazione con i libri non era ancora amore.


                                                  
                                  

La paura di leggere ad alta voce 


Durante gli anni della scuola elementare, un metodo educativo poco empatico ha spento in me la curiosità. La maestra ci faceva leggere ad alta voce e, su un tabellone appeso al muro, c'era una classifica con in nomi di chi "leggeva meglio".
Forse pensava che la competizione potesse motivarci, ma per me è successo il contrario: ho letto peggio e ho iniziato quasi a odiare i libri.


Il caso...o il destino: Oriana Fallaci e la svolta


Un pomeriggio d'estate, nei primi anni delle superiori, mi annoiavo. Ho curiosato nella libreria di mio fratello e ho scelto un libro a caso, o forse no: Insciallah di Oriana Fallaci.
Era enorme, o almeno così lo vedevo, più di 600 pagine. Ero convinta che non l'avrei mai finito. Invece, pagina dopo pagina, mi sono ritrovata catapultata nella guerra del Libano, tra esplosioni e vite spezzate. Beirut mi sembrava così vicina.
Quel libro mi ha cambiato la vita: da allora non ho più smesso di leggere. Ogni storia è diventata un viaggio, ogni personaggio una parte di me.

Come diceva Umberto Eco,

  "Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita. Chi legge, avrà vissuto 5000 anni."



"I pilastri della Terra" e il crollo della mia cattedrale



Ci sono libri che restano legati a momenti precisi della vita.
Per me, uno di questi è I pilastri della Terra di Ken Follet.
Ricordo che, mentre immaginavo Tom intento a costruire la sua cattedrale, senza neanche accorgermene ho letto fino alle tre di notte, trascinata dalla bellezza e dal significato di quella storia.
Ma quella mattina la mia "cattedrale" è crollata per sempre: mia madre è morta improvvisamente.
Da allora sono passati più di vent'anni e non sono più riuscita a leggere un libro di Follet.
Quel dolore si è intrecciato a quelle pagine, rendendole parte indelebile della mia storia personale.


Il Conte di Montecristo: la forza della compassione


Tra i tanti libri che mi hanno lasciato un insegnamento profondo c'è Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas.
Mi ha insegnato che la via d'uscita non è la vendetta, ma la determinazione, e che qualunque cosa accada, non possiamo smettere di essere compassionevoli. Non possiamo, e non dobbiamo, sostituirci a Dio.
Un romanzo geniale, che parla di perdono, riscatto e umanità.



Il Dono del silenzio: imparare a stare nel presente


Più recentemente ho scoperto Il dono del silenzio di Thich Nhat Hanh, che mi ha insegnato ad ascoltare i rumori della mente, ad accoglierli e a restare nel presente.
Un libro che non si legge soltanto, ma si vive.

I libri come medicina per l'anima


Per ogni momento, triste o felice, c'è sempre stato un libro accanto a me.
La lettura ha avuto un potere trasformativo: apre mondi, guarisce ferite, accende la consapevolezza.

Ogni medico dovrebbe prescrivere almeno un libro al mese.
Se si eccede nelle dosi, non ci sono controindicazioni: solo crescita, libertà e nuove vite da vivere.



Alla scoperta della sardegna archeologica con il romanzo Secreta Mundi di Consuelo Pinna

Quando il dolore non ha un perché

Il dolore come maestro silenzioso Per me, novembre è un mese di riflessione profonda. Ci sono momenti nella vita in cui il dolore arriva sen...